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lunedì 4 maggio 2009

Storia di un piccolo Clown

C’era una volta, ma in fondo ancora c’è, un piccolo Clown, dai capelli ricci e gialli, il solito naso rosso e il vestitino colorato.
Il clown era portatore sano di gioia e allegria per la città.
Il suo contagioso buon umore accendeva sorrisi e metteva in fuga la tristezza.
Non chiedeva nulla, solo un sorriso.
Viveva in un prefabbricato piccolo e colorato a tre Km dalla città, abbandonato ormai da tempo. Dormiva su un materasso di foglie di granturco e si copriva con pezzi di lana trovati qui e là. Una nonnetta che abitava in città, ogni mattina lo aspettava per offrirgli fette di ciambellone al cioccolato e un bicchiere di latte e questo gli bastava per ricaricare lo spirito ogni giorno.
Passava la mattina presto per la via dei mercati e salutava tutti i commercianti con un: “Salve!”
Era pronto a danzare nei giardini comunali intorno agli innamorati per rendere magica l’atmosfera.
Camminava tutte le mattine sotto le scuole per salutare insegnanti e alunni.
Era sempre disponibile a scambiare quattro chiacchiere con le mamme che andavano a fare la spesa.
Se vedeva una persona su una panchina da sola e triste andava lì per cercare di tirarla su di morale.
Per il piccolo clown il mondo era un parco giochi e lui si girava tutte le giostre.
Un giorno era vicino al Palazzo di Giustizia e vide un uomo tutto vestito di nero dallo sguardo accigliato e il passo veloce.
Lo seguiva con lo sguardo mentre costruiva insieme a Clochard due ali di carta. Lo vide entrare nel Palazzo e pensò: “ Come è triste quell’uomo”
Il suo amico Clochard lo guardò intensamente e gli disse: “ Allora ti sei fermato?”
“Oh no, solo pensavo che…”
“ Non pensare piccolo Clown e aiutami a finire queste ali”
Improvvisamente ebbe come un incubo: cominciò a notare che tutti gli uomini e le donne che passavano di lì per andare nel Palazzo entravano ed uscivano con la stessa espressione accigliata di quel signore di prima. Alcuni erano pure tanto preoccupati e allora chiese a Clochard:
“Ma sono nuove queste persone?”
“No, ci sono sempre state!”
“ Ma che ha fatto questa gente perché non ride mai?”
“ Non hanno alcun motivo per ridere”
“ Ne sei sicuro?”
“ Non mi pongo il problema.”
Costruite le ali per il suo amico, trasecolato, cominciò a girare la città e per la prima volta in vita sua si accorgeva di quanti accigliati c’erano in città.
Scoprì che c’erano molte persone vestite di scuro che camminavano preoccupate per la città. Persone che avevano un gran privilegio: la possibilità di aiutare chi era ammalato, chi ingiustamente accusato dalla società, o i bambini che dormivano al freddo.
Perché erano così tristi? Strano!
L’ingenuo Clown la mattina seguente si fermò sotto l’androne dell’ospedale e aspettò un dipendente qualunque del servizio sanitario perché voleva sapere il motivo della tristezza di queste persone e se avesse potuto rallegrarle. Passò una giovane donna vestita con un camice bianco e pensò subito che fosse una benefattrice della salute; con grazia la fermò e le disse:
“Buongiorno!”
“ Ma che vuoi? Sei scappato da psichiatria?”
“Io no!”
“Adesso mi sentono quei babbei!”
Se ne andò correndo e furiosa, non era chiaro se fosse più furiosa o se corresse di più.
Allora il Clown pensò di cambiare aria e andare davanti al Palazzo di Giustizia.
Si mise davanti al portone e fermò il primo accigliato vestito di scuro:
“Buongiorno!”
“ Non ho soldi da darti!”
“ Ma io..”
“Uh non ho tempo da perdere!”
E anche questo signore era strano.
Allora pensò di recarsi al Comune per avvertire i simpatici amministratori della città. Mentre correva verso il Municipio pensava preoccupato:
“Loro devono sapere cosa sta accadendo e sicuramente risolveranno la situazione.”
Arrivò davanti al Municipio ed entrò; chiese subito affannosamente ad un signore che era lì seduto:
“Devo dire una cosa importante al comandante della città!”
“ Al sindaco?”
“Si chiama Sindaco?”
“Sì, ma adesso è impegnato, prova al secondo piano stanza TRE”
“Grazie!”
Salì di fretta le scale e entrò nella stanza tre ma dopo averlo guardato con aria di sufficienza lo ammonirono:
“ Fai la fila come gli altri!”
“Oh mi scusi”
“Maleducato”
“ Ma io devo parlare con il sindaco e devo dirgli una cosa importante”
“ Se hai perso il circo il sindaco non può fare niente! AH, Ah!”
“Non ho perso il c…”
“Fuori!! Fai la fila”
Fece un’ora e mezza di fila e poi capì che l'arpia allo sportello non poteva fare nulla se non prenderlo in giro.
Allora si mise su una panchina ad aspettare il sindaco.
Chiedeva a tutti quelli che entravano e uscivano di lì:
“ Tu sei il sindaco?”
Ma non riuscì ad incontrarlo.
Intanto vedeva che le persone diventano sempre più accigliate più strane.
Pensava: “ Ma come mai non me ne sono accorto prima?”
Provava a salutare le persone e a sorridergli ma niente, lo guardavano come se fosse un pazzo.
Rimase seduto su quella panchina per alcuni giorni. Poi improvvisamente si fermò una ragazza bellissima e gli disse:
“ Ciao piccolo Clown”
“Ciao”
“Cosa hai fatto non sorridi più!”
“Che sorrido a fare in un mondo dove nessuno sorride più?”
“ Ma il mondo è sempre stato così; sei tu che non sorridi più, non il mondo!”
Il Clown si girò la guardò e le chiese:
“Sai perché le persone che hanno il privilegio di aiutare gli altri sono tristi?”
“ Come aiutare gli altri?”
“ Guarire le persone, aiutare chi è stato ingiustamente accusato e altro.”
“Ah! Tu parli di Avvocati, dottori e via dicendo?”
“ Non so il loro nome”
La bella ragazza lo guardo intensamente quasi commossa dalla ingenuità del clown, mentre insisteva:
“ Tu sai perché?”
“Dovresti chiederlo a loro”
“Ho provato ma è impossibile, vanno di fretta, sono agitati, sempre arrabbiati e a volte sono anche offensivi.”
“Forse perché…. non lo so”
La bella ragazza si alzò lo salutò e andò via.
Dopo un po’ arrivarono due ragazzi con una bottiglia di birra in mano e un po’ brilli.
“ Ciao piccolo clown!”
“Ciao!”
“ Ma tu non cresci mai rimani sempre piccolo, vai in giro ancora a fare il clown?”
“ Ma io sono un clown!”
“ Quando la finirai di farti prendere per i fondelli dalla gente?”
“ Perché mi prendono per i fondelli?”
“ Tu che pensi? Ah, Ah!”
“ Io non mi ponevo questo problema fino a che non siete arrivati voi!”
“ Piccolo Clown non ti sembra ora di crescere?”
“ Crescere? In che senso?”
“ Ma sei ritardato? Crescere, diventare adulti, trovare un lavoro, sposarsi avere dei figli, giocare al lotto e sperare di vincere tanti miliardi che ti cambiano la vita.”
“Ma a me dei soldi non importa!”
“ Tutti così dicono e poi invece quelli fanno girare il mondo.”
“ Io non so cosa fa girare il mondo ma a me importa solo ridere e godermi il periodo di tempo su questa terra e far ridere anche gli altri.”
“Ma a chi fai ridere tu, sei patetico, vai in giro rompendo le scatole a tutti. Se io non voglio essere allegro non puoi obbligarmi, mi dai pure fastidio.”
“ Oltre a prendermi in giro io rompo pure le scatole?”
“ Sei inutile tu per tutti”
“ Credi davvero?”
“ E’ così”
“ Ma sei tu a pensarlo?”
“ Tutti lo pensiamo. C’è una soluzione: adattati e cresci. Non desideri anche tu un’automobile?”
“No”
“Una casa?”
“ C’è un tetto che mi protegge”
“ Cosa quella baracca?”
“ Io sono felice così.”
“La tua felicità durerà ancora per poco, perché lì il Comune sta per farci una discarica.”
“ Ed io non posso rimanere lì?”
“ Una discarica è tossica, è immondizia”
“ Se è tossica perché la fanno?”
“ A me non frega niente, ma tu non puoi stare lì. La butteranno giù la tua casa.”
“ Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?”
“Mio padre è il sindaco di questa città”
“ Come può il sindaco essere padre di un ragazzo come te?”
“ Perché lui è peggio di me!”
“ Non ci credo”
“ Perché non dovresti?”
“Allora a lui non interessa che le persone siano tristi?”
“Non gliene può fregare di meno.”




Il piccolo Clown, si alzò dalla panchina, triste e sconsolato, e cominciò a camminare, camminare e ancora camminare.
Non gli importava nulla del mondo voleva uscire da quel parco giochi, perché non era divertente era macabro.
Improvvisamente si accorgeva di come era putrido il mondo. Ma perché?
“Ma che ci faccio io qui?”
Si chiedeva.
“Chi rende il mondo così?”
Realizzò alla fine:
“Se tutti gli esseri umani sono così anche io diventerò come loro?”
Dormì in un bosco. Sotto un albero.
Aveva fame tanta fame. Si guardò intorno e vide un albero di frutta e pensò:” Per un po’ posso rimanere qui. C’è anche un ruscello”.
Dopo un po’ di tempo si era abituato a dormire sotto le stelle, a mangiare solo frutta e bere acqua del ruscello ma ad una sola cosa non riusciva ad abituarsi: la solitudine.
Gli veniva da piangere, si sentiva abbandonato e triste. Non era vita quella. Era sopravvivenza.
Pensò ad un fatto: “Se torno in città mi sentirò lo stesso solo.”
Come disse il figlio del sindaco c’era un’unica soluzione: crescere.
Come pensò a questa parola abbassò gli occhi e si strappò la parrucca dalla testa.
Si avvicinò al ruscello, si specchiò per l’ultima volta e poi si cominciò a pulire il viso. Via il rosso passione per la vita sulla bocca; via il bianco ingenuità sotto gli occhi e via la spensieratezza del rosso sulle gote e sul naso.
Scoprì che era una donna.

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