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lunedì 4 maggio 2009

Sincronia dimensionale

Sarà tra breve, un attimo di calma nel vento, e un’altra donna mi partorirà
Kahlil Gibran


Silvia chiuse la porta di casa, infilò la chiave nella serratura e, come di consueto, diede due giri di chiave per sicurezza.
Era seriamente in ritardo e non aspettò l’ascensore, optò per le scale.
Era proprio buffa quella mattina: il cappotto a tre quarti svolazzava dietro di lei come fosse la mantella di un super eroe; i tacchetti delle scarpe scivolavano, sgommando alle curve dei corridoi; la borsa era tenuta nella mano destra come il testimone di una corsa a staffetta; i capelli elettrizzati, con immediato effetto strega e il trucco colante per la corsa affannata. Accadeva spesso la mattina quando si accorgeva di essere in ritardo, ma questa, in particolare le rimase impressa per tutta la vita.
Uscita dal portone, si fermò per un secondo a ricordare dove era parcheggiata la sua vettura. La vide accostata lungo il marciapiede di fronte, a pochi metri a destra; allora schizzò come un fulmine in quella direzione; conquistato il centro della strada, Silvia non s’accorse che da sinistra, ad elevata velocità proveniva un’automobile. In una frazione di secondo, lei si girò e capì che tutta la sua corsa nel tempo era stata la cosa più inutile della vita.
Una stridula frenata, la spinta in aria del suo corpo nel rispetto di tutte le leggi della fisica, un silenzio breve ma profondo e poi un tonfo imprimevano i suoi ultimi pensieri nell’anima, come l’ago di una macchinetta per tatuaggi permea l’epidermide.
Il quadro della realtà scomparve per Silvia, come se fosse una tv con il tubo catodico guasto: anche se la lasci accesa non la guardi più, in attesa che il tecnico la venga ad aggiustare. In mancanza della piena funzionalità della tv, osservi i tuoi familiari, colloqui con loro, ricordi di amarli, cucini con loro prelibatezze fuori orario, così allo stesso modo l’essenza di Silvia si girò verso se stessa e cominciò ad osservarsi e a parlarsi.

Roy e Erin si erano appena conosciuti in un locale a 5 miglia da Adelaide. Si guardavano negli occhi intensamente. Lei sapeva cosa voleva l’affascinante ragazzo, che, con la scusa di offrire una birra, si era seduto vicino a lei e alla sua amica. Erin non era andata in quel locale per rimorchiare ma solo per distrarsi un po’ dal lavoro. Lui era così invitante con lo sguardo di chi potrebbe introdurti in un mondo di fugace ma intenso sollazzo rosso passione. Era consapevole che quello non era l’incontro con l’amore della sua vita ma solo una tentazione del piacere. Lui continuava a parlare del suo viaggio alle isole Figi e con la sua caviglia sfiorava quella di Erin. Mentre Vinicius, dibatteva di politica con Jenny, nel mondo ma isolati da esso, Roy sorrideva e guardava Erin, roteando lo sguardo verso i loro amici che discutevano appassionatamente. Lui le parlava sommessamente chiedendole cosa faceva, dove abitava. E lei ad ogni sguardo, ad ogni domanda di lui si sentiva un’intensa fibrillazione ai muscoli striati dello stomaco. L’apice di questa ipertensione muscolare venne raggiunto quando Roy le chiese, con sguardo diretto e definitivo: “Sei impegnata con qualcuno?”
Erin, che fino a quel momento non riusciva a staccare lo sguardo dalle labbra carnose di lui, abbassò gli occhi.
La risposta a quella domanda era importante. Avrebbe determinato l’esplicito invito ad una notte di fluente piacere.
Erin doveva decidere nel volgere di un attimo se bere, non per idratare lo spirito, ma per soddisfare un capriccio del corpo.
E così rispose: “ No, sono libera”.
Alla parola libera affiancò uno sguardo tendenzioso, che Roy, da buon volpone maschio, raccolse al volo.
Quando due corpi sono tesi l’uno verso l’altro, gli sguardi spingono a giocare a carte scoperte. Non occorre proferire verbo, il nostro corpo si esprime in modo esatto, preciso e comprensibile.
Erin e Roy piroettarono senza rete nell’aria, in un circo vuoto, per tutta la notte.

Il padre di Silvia era seduto nella sala d’aspetto del reparto intensivo di rianimazione.
Guardava i dottori correre avanti e indietro preoccupati.
Giovanna li seguiva, chiedeva agli infermieri come andava la situazione, senza fermarsi mai.
E poi la notizia non tardò più di tanto ad arrivare. Un camicie bianco, a passo semi lento, a testa bassa, con il dito indice curvato, appoggiato sotto il naso, percorreva il lungo corridoio a sinistra della sala d’aspetto. Era diretto verso i genitori di Silvia.
La ragazza era in coma.
Silvia non soffriva. Il suo corpo era lì, su quel letto d’ospedale, ma la sua essenza si era tuffata in un mare avvolto da una luce buia. Seguiva la corrente trasportata su se stessa. La serenità del viaggio rendeva impermeabile l’essenza di Silvia da ogni pensiero e ricordo.
Un invisibile cicerone le sussurrava la via per non perdersi.

La mattina dopo Erin si svegliò, preparò la colazione, si vestì e si avvicinò a Roy che dormiva ancora.
Rimase ad ascoltare il suo respiro per qualche secondo, poi gli diede un bacio sulle labbra e andò via. Il film era terminato.

Silvia era sempre immersa nel mare avvolto da luce buia.
Ma era entrata in una enorme cavità scura in cui l’unica luce era emanata solo dalla sua essenza.
Una sensazione di sicurezza e protezione rendeva tranquilla la permanenza in quella cavità senza uscita.

Erin quella mattina si sentiva scombussolata. Questo stato durò per alcuni giorni. Andò dal dottore dopo aver fatto un test domestico di gravidanza. I suoi sospetti vennero confermati: era incinta di Roy.

I genitori di Silvia erano avvolti dal dolore e dalla profonda confusione provocata dalla scelta da prendere nel caso in cui i dottori gli avessero comunicato la morte cerebrale definitiva. A quel punto probabile.

Silvia stava bene.

Erin aveva già deciso.

I genitori di Silvia avrebbero voluto barattare la loro esistenza con quella della figlia. La morte quando ti passa accanto non va via mai a mani vuote.
Erin entrò in ospedale si adagiò su una sedia della sala d’aspetto con il capo chino e la giacca sulle braccia.
Impose a se stessa di non chiedersi cosa stava facendo; se fosse giusta o sbagliata la sua azione.
Pensò al suo lavoro, alla spesa, al film Casablanca e poi venne chiamata. Si alzò decisa e con passo svelto andava a liberare il suo ventre.

Silvia improvvisamente si sentì affogare, cadere giù nel baratro scuro. Prima lentamente poi acquistando sempre più velocità.

Erin si sdraiò sul lettino dopo la prima puntura pensò che ormai era fatta, non si poteva tornare più indietro. E così fu.

Silvia precipitò in un vortice nero e rosso; superato il vortice scorse una luce e cadde nell’ultimo tratto silenzioso. Mentre si avvicinò alla luce sentì un sussurro di voci. Arrivò alla luce e la oltrepassò.
Un rumore squarciante la spinse ad aprire gli occhi: si era finalmente svegliata.

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